La parola “panico” ha origine dal dio Pan della mitologia greca, metà uomo e metà caprone, che compariva all’improvviso a spaventare i viandanti che si trovavano a percorrere i suoi boschi. Le persone rimanevano disorientate, non riuscivano a capire cosa fosse successo, erano attraversate da un terrore improvviso. Proprio come ci si sente durante un attacco di panico.
Secondo il DSM (Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali) il disturbo da attacchi di panico colpisce fino a 1 persona su 25 a seconda del genere (frequenza doppia nelle donne), della fascia d’età (maggior incidenza tra i 25 e i 35 anni) e altri fattori di contesto.
Spesso gli attacchi di panico si manifestano in periodi di vita stressanti o in concomitanza a grandi cambiamenti nella sfera affettiva e relazionale: il matrimonio, la convivenza, un trasloco, la separazione, la perdita o la malattia di persone significative o eventi lavorativi. L‘attacco di panico arriva al culmine in una decina di minuti per poi decrescere progressivamente di intensità, è caratterizzato da un senso di catastrofe imminente, un terrore improvviso che annebbia la ragione, da sintomi fisici e cognitivi come la tachicardia, palpitazioni, brividi, sudorazione, nodo alla gola, difficoltà a respirare, vertigini, paura di svenire o di impazzire, nausea ecc…
Il soggetto, a fronte di queste sensazioni invalidanti, non riesce a cogliere la causa di questi episodi, pertanto gli appaiono ingiustificati e non prevedibili per cui spesso si innesca un’ansia costante e generalizzata rispetto a varie situazioni, una “paura della paura” di stare male e perdere il controllo.
Così la persona, per far fronte in qualche modo al disagio, comincia ad utilizzare strategie di evitamento volte a rifuggire tutte le situazioni che teme possano innescare il panico, traendone un vantaggio immediato nel breve termine (l’ansia effettivamente nell’immediato si riduce), ma che si rivelano molto disfunzionali nel lungo termine perché di fatto impoveriscono sempre più le proprie esperienze e restringono progressivamente il campo d’azione alimentando, in realtà, la paura perché i fantasmi e le fantasie negative rispetto alle possibilità di stare male in diversi contesti prenderanno sempre più spazio nella mente e nella vita della persona.
Le condotte di evitamento saranno accompagnate da sentimenti depressivi di fallimento e frustrazione causati dalla sensazione di non riuscire a padroneggiare le proprie emozioni e a portare a termine semplici compiti quotidiani e dall’impossibilità di vivere le situazioni sociali con serenità. Spesso le persone nella fase di esordio del disturbo, sottovalutano la componente emotiva e cognitiva delle “crisi”, ricorrono a visite specialistiche e ad esami diagnostici attraverso i quali viene esclusa una causa prettamente organica del disturbo. I sintomi fisici, in realtà, sono accompagnati da emozioni molto intense e la mente, prima dopo e durante gli episodi, viene attraversata da pensieri catastrofici e automatici che contribuiscono a generare e incrementare la sensazione di allarme. Le emozioni nei momenti acuti sono completamente disregolate e la persona perde di lucidità.
È proprio sulla consapevolezza e la gestione di queste emozioni e dei pensieri automatici che la terapia cognitiva lavora: la persona viene guidata dal terapeuta in un percorso di conoscenza delle proprie emozioni, di riconoscimento dei segnali che precedono il malessere, di acquisizione progressiva della capacità di tollerare e gestire le emozioni egodistoniche per far sì che non raggiungano il culmine e allentare la paura. I colloqui saranno centrati sul monitoraggio delle proprie emozioni, la comprensione delle proprie modalità di funzionamento cognitivo ed emotivo, su esercizi di respirazione e rilassamento al fine di rendere più prevedibili le proprie reazioni e rompere gli automatismi che mantengono il disturbo per permettere al paziente di riappropriarsi della propria vita e smettere di vivere nella paura.
Dott.ssa Elisa Boggeri
Psicologa Psicoterapeuta – Novi Ligure – Genova